22/06/2024 – S.S. John Fisher e Thomas More

“Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.” (Matteo 6,24-34).

#nonpreoccupatevi #cercate #ilregnodiD-o #lagiustizia

L’Evangelo di oggi contiene una serie di semplici ed efficaci esortazioni per ricercare l’essenziale della fede, per riconoscere il bene di D-o, il suo amore e la sua misericordia.

Gli uccelli del cielo, i gigli del campo, sono gli esempi per ricordarci un certo distacco dalla frenesia del nostro tempo, dalle preoccupazioni, dall’attaccamento che abbiamo alle cose.

Ma se dobbiamo essere distaccati dalle cose, Gesù ci invita soprattutto a focalizzare due impegni fondamentali. Cercare i semi del regno di D-o e la sua giustizia. Tutto il resto viene in aggiunta.

Che cosa significa tutto questo. Cercare i semi del regno significa scoprire in profondità e con discernimento il bene, i gesti d’amore, il dono gratuito, il prendersi cura di chi ha bisogno.

Occorre anche un impegno collettivo: cercare la giustizia per ribaltare il potere dei forti e innalzare gli umili, per abbattere i muri dell’egoismo e del dominio di pochi su molti.

Immagine: Un’opera d’arte che non potrà lasciarvi indifferenti. Una scultura che ci mostra l’amore delbambino interiore che è in noi. Si tratta del progetto che l’artista ucraino Aleksandr Milov ha presentato in occasione del Festival Art Burning Man 2015 in Nevada.

22/06/2024 – S. Paolino da Nola – S.S. Giovanni Fisher e Tommaso More – Rito Ambrosiano

Giovanni 10,14-18

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il
potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

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Gesù qui si propone come il “pastore buono” cioè come il pastore secondo il cuore di Dio. Innanzitutto, perché capace di “dare la propria vita per le pecore” La prima qualità del pastore buono non si esprime solo in un’azione, ma in un atteggiamento che è alla base della bontà e dell’efficacia di tutte quelle azioni di cura concreta con cui egli assisterà le sue pecore. “Dare la vita” è infatti un’espressione che si ripete come un ritornello e che in questi pochi versetti leggiamo tante volte.  Gesù è il pastore buono perché ha dato e continua a dare la propria vita per il gregge. La sua capacità di “nutrire” il gregge, di prendersene cura senza servirsene, ha qui la sua origine.

Gesù si prende davvero cura del gregge. Una cura possibile grazie all’intima conoscenza tra il pastore e le pecore: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Una conoscenza che dice autenticità di relazione, partecipazione alle vicende dell’altro, cioè compassione.
Ma mentre si prende intima cura delle pecore vicine, pensa e porta nel cuore quelle lontane.

Ecco, quindi, la figura di un Padre Pastore buono. Si tratta di un pastore che vede lontano, che va oltre ed è capace di uno sguardo che sa andare oltre i recinti che noi esseri umani costruiamo e nei quali spesso ci rinchiudiamo. Gesù ci ama molto, pensa a noi e si preoccupa.
Ma noi pecorelle ci lasciamo “curare” ? Ci affidiamo a Lui?

Il Risorto è il pastore buono che dimora tra i suoi per consegnare loro, ogni giorno, la vita che è in lui,
perché anch’essi possano viverne e vivere in pienezza.

21/06/2024 – S. Luigi Gonzaga

“Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.” (Matteo 6,19-23)

#tesoro #cuore

Le parole dell’Evangelo che raccontano i dialoghi di Gesù con i suoi discepoli si arricchiscono di giorno in giorno di attenzioni spirituali e di accortezze che devo alimentare una fede credente e credibile.

L’espressione poetica di Gesù – dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore – ci apre a cogliere la profondità del legame spirituale dell’umanità verso l’Altissimo, con il D-o della vita.

Il nostro tesoro è l’amore di D-o. Là è il nostro cuore. D-o dimora nella nostra capacità di saper fare spazio a Lui. Gesù ci ha insegnato di fare spazio attraverso il dono, il prendersi cura, il servire.

Immagine:  Rubens – L’ultima cena – 1631/1632 – Pinacoteca Brera

21/06/2024 – S. Luigi Gonzaga – Rito Ambrosiano

Luca 7, 24b-35

In quel tempo. Il Signore Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
“Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.

Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro.

A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.

Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

#conversioneEGioia #rifiuto #piccoliEPoveri

Leggendo questo brano, possiamo renderci conto che la gente del tempo di Gesù rifiutava il gioco di Dio e contrastava il suo disegno.
Dio li ha chiamati alla conversione e alla serietà per mezzo di Giovanni il Battista ed essi non lo hanno accettato perché lo ritenevano pazzo.
Li ha poi chiamati alla gioia e alla festa per mezzo di Gesù ed essi ancora non hanno accettato perché volevano un Dio severo.
Erano persone adulte che si comportavano come bambini capricciosi.

E noi? Che Dio vogliamo? Accettiamo il messaggio di conversione proposto da Giovanni Battista, riconoscendoci peccatori? Siamo disposti ad accogliere l’invito alla gioia proposto da Gesù?
Oppure critichiamo e rifiutiamo quello che Dio ci dà, lamentandoci e volendo sempre “altro”?

Luca ci ricorda che Gesù è amico dei pubblicani e delle prostitute; le sue compagnie preferite non erano proprio le più raccomandabili. Erano i più poveri e i più disperati.
Potremmo chiederci anche se la scelta delle nostre amicizie assomiglia a quella di Gesù.

Aiutaci, Signore, a farci piccoli e poveri, perché di essi è il Regno dei cieli!

20/06/2024 – Giovedì della 11ª Settimana del Tempo Ordinario

“Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.”

(Matteo 6,7-15).

#padrenostro

Forse, in questo tempo di continue connessioni social, é utile rimeditare con lentezza le parole del Padre Nostro.

Dalla lettura possibile del Padre Nostro nella lingua di Gesù, l’aramaico, scopriamo che la parola certissima pronunciata da Gesù stesso è Abbà, Papà. Ed è l’unica che ci accompagna in questo tempo cupo, contraddittorio, frammentato.

Il Papà ci è vicino per la nostra consolazione e la nostra speranza, per coltivare fiducia verso una prospettiva di cambiamento. Quando ci sentiamo incapaci di trovare una via nuova e il corso del tempo di cui non vediamo uno sbocco, preghiamo dunque il nostro Papà, Abbà: aiutaci!

Immagine: Honoré Daumier, Il bacio (padre e figli), 1845-1848