23/04/2023 – 3ª Domenica di Pasqua – L’Evangelo dei Fidanzati

“Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via”. (Luca 24,13-45).

#Emmaus

Quanto è bello metterci in sintonia con i cuori dei due discepoli di Emmaus. 

Quante volte ci capita – come i discepoli – di non riconoscere la presenza di Dio al loro fianco? 

Eppure, il Signore cammina sempre a fianco a noi, attraverso le persone che ci mette al fianco e le situazioni che ci fa vivere.

I discepoli poi, allo spezzare del pane, ricordano di quanto avevano sentito e percepito durante la strada. Ciò che ardeva nei loro cuori è cio che lo Spirito fa risuonare e suggerisce nel loro cuore.

Questa pagina di Vangelo ci interroga su cosa abbiamo a cuore nella nostra vita, ciò che ci arde sempre. È interessante che ci sia una parola che racchiude questa domanda, ed è coraggio: cosa hai nel cuore? Cosa arde nel tuo cuore? Il Signore ci parla infammiando di passione alcuni aspetti della nostra vita. A noi l’attenzione nel leggerli, scrutarli e alimentarli attraverso quello spezzare il pane che ci nutre e ci incoraggia.

@Andrea @Emanuela

19/08/2018 – L’Evangelo letto e narrato dai bambini – 20ª Domenica del Tempo Ordinario

“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.” (Giovanni 6,51-58).

Il pane ci dà la forza ogni giorno per giocare, per crescere, per pensare.

Tutti abbiamo bisogno di questa energia per vivere.

La vita che ci hanno dato con il loro amore la mamma e il papà va conservata con gioia e gratitudine.

Siamo accompagnati ora dal grande amore di Gesù che é con noi ogni volta che vogliamo sentirlo.

Mattia, Elia, Emma

03/06/2018 – Corpus Domini

“Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di D-o». (Marco 14,12-16.22-26).

L’Evangelo di questa domenica, in cui ricorre la solennità del Corpus Domini, abbiamo l’occasione per meditare sul senso del sacrificio di Gesù. La cena pasquale é l’occasione emblematica per condividere il senso dell’alleanza, l’esempio più vero dell’unità tra D-o e gli uomini.

Ci sono tre verbi che accompagnano la celebrazione della Pasqua di Gesù insieme ai suoi discepoli: andare, preparare, mangiare. Sono le tre azioni che indicano il senso dell’unità che anima questa convivialità.

Si va alla ricerca di questo momento che ricapitola il cammino fatto. Si prepara la cena perché é il momento della condivisione. Si mangia perché si fa comunione, nella fraternità, di quell’amore misericordioso che Gesù ha voluto insegnare ai suoi discepoli.

Tutto questo lo si esperimenta in una stanza. La stanza é la nostra vita, più o meno complessa, incasinata, fragile, sofferente, positiva o ricca di gioia. In questa stanza meditiamo la presenza dello Spirito che anima il nostro agire, il nostro annunciare la presenza di D-o nella nostra esistenza umana.

Quello che viviamo in questa festa del Corpus Domini é la gioia della benedizione perenne che Gesù ci ha lasciato in memoria della sua presenza umana tra di noi. É straordinariamente importante pensare che attraverso il corpo e il sangue condiviso, il Signore ci ha lasciato lo Spirito di comunione nel banchetto della vita.

Paolo VI – Discorso del 5 gennaio 1964

L’esempio di Nazareth
La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

23/07/2014 – Santa Brigida, Patrona d’Europa

“Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci.” (Giovanni 15,1-8).
Su che cosa si fonda l’essere discepoli se non nel rimanere nel Signore e il Signore in noi? É la comunione e l’unità d’intenti che rende possibile un discepolato attivo e partecipe, di una fede nuda ed vera, di un credere senza condizionamenti, di un amore che si fa dono, di una speranza che non tramonta.
Gesù usa il paragone della vite e dei tralci proprio per dirci quanto siamo indispensabili gli uni gli altri nel disegno di salvezza e di gioia che é l’essere nel Padre, nel Buon Dio, unica ragione del nostro esistere.
A volte ci manca il coraggio di vivere la nostra vita complicata e piena di ostacoli sapendo che il Signore davvero rimane in noi ed é la presenza viva nella nostra quotidianità.
Noi abbiamo la possibilità ogni giorno di scoprire il rimanere nel Signore, quando viviamo l’esperienza dell’Amore che si fa dono. E quando viviamo questo sappiamo che portiamo solo frutti di Bene.
Proviamo a sentirci tralci della vite nel Signore, attraverso le persone che ci sono vicine e che amiamo, attraverso le persone che non ci sono vicine e che comunque sappiamo di amare.