“E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».” (Luca 12,13-21).
Che cosa davvero conta nella vita? Possedere? Aver lavorato con sapienza, scienza, intelletto? (Qoelet 1,2; 2,21-23). Cercare le cose di quaggiù in terra? (Colossesi 3,1-5.9-11).
La risposta rischia l’ovvietà! Sappiamo bene che lasciamo tutto alla fine dei nostri giorni. Ma in verità riscontriamo, pressoché quotidianamente, che siamo condizionati dalla realtà che ci circonda e che il possesso é spesso il motore delle nostre inconsapevoli scelte.
La realtà della cupidigia é il velo che aggroviglia molte delle nostre azioni. Ci lasciamo prendere dal vortice delle cose e dal possederle. Talvolta desideriamo possedere anche l’altro da noi. Siamo anche ‘maestri’ nel fare lo stesso ragionamento dell’uomo ricco. Attenzione: non é sbagliato che l’uomo cerchi il meglio. Tutt’altro la ricerca di ciò che é buono e ci far star bene é legittima.
Si sbaglia quando desideriamo possedere e non siamo capaci di distaccarci dalla logica dell’avidità. Il possedere diventa quindi una forma di idolatria.
Allora come non lasciarsi prendere dalla bramosia del possesso?
Ci sono due chiavi di lettura che ci servono a dare senso alla nostra esistenza umana. La prima riguarda la necessità diventare uomini nuovi, ovvero rendersi conto della nostra piccolezza per orientarci verso il Signore.
La seconda riguarda il come orientarci: orientarci guardando le cose ultime della vita, quelle che contano. E della nostra vita ciò che conta é amore gratuito, gli affetti, fare del bene, aiutare il nostro prossimo, rispettare la creazione, amare il Buon D-o.